Al Goldoni uno spettacolo irraccontabile, in realtà un’esperienza da vivere.
Ognuno con i suoi demoni, alla fine mille persone che ballano insieme.
22maggio 2015 di Luca Stellati, immagini di Giacomo Bazzi
Alla fine, ma per quasi due ore stiamo tutti in surplace, ossessionati ciascuno dalle proprie paure, da pensieri più che ricorrenti, ossessivi.
In realtà non occorre attendere l’epilogo per lenire la solitudine con il demiurgico ballo liberatorio, fin dall’inizio non c’è divisione fra palco e platea, si vive, mal comune mezzo gaudio, uno stato emotivo che accomuna attori e pubblico.
C’è un modo solitario e ghettizzante di vivere l’ossessione, i Mayor Von Frintius ne propongono uno non edulcorato, ma socializzante.
E’ un popolo che manifesta i suoi mille problemi, riesce a metterli in piazza, si affratella nella sofferenza e non solo nella speranza di un ipotetico futuro migliore.
E’ un popolo diviso fra “normali” e disabili, fra indigeni ed immigrati, fra trombanti e non trombanti. Il dolore della malattia, fisica e mentale, la paura della diversità, l’angoscia per la repressione sessuale attraversano gli uomini e le donne raccolti nel teatrocontenitore, producendo meccanismi di indentificazione non uniformi.
I ragazzi e le ragazze della Compagnia lottano duramente contro i “demoni personali”, si arrangiano come possono, ricorrono a espedienti fantastici e pratiche rituali.
Così i supereroi H, capaci di spazzar via in un baleno la percezione di inadeguatezza nella vita dei tanti attori disabili. Ma prima ancora, alla repressione sessuale operata dalla Chiesa Cattolica, si risponde con una ritualità collettiva (che pare ereditata dalla tradizione cristiana) capace di riaffermare un profondo senso di libertà, in un ribaltamento che sconfigge l’oppressore con i suoi stessi mezzi. E via dicendo si esorcizza la diffidenza verso lo sconosciuto diverso…
Il teatro di questi avvenimenti è Livorno, la propria terra amata ed odiata, con una grande capacità di accoglienza ed una scarsa capacità di accettazione, dove si manifestano inaspettatamente fenomeni apertamente discriminatori e razzisti.
Afflitta da un’immobilità marcescente, c’è chi da Livorno vuole fuggire, chi non riesce a staccarsene pur senza quelle illusioni che, forse, ne hanno ottenebrato a lungo la vista e la percezione della realtà.