Sul grande schermo ‘Van Gogh- Sulla soglia dell’eternità’ con Willem Dafoe

Il cinema si è occupato molte volte di Van Gogh con sensibilità diverse andando da ‘Brama di vivere’ di Vincente Minnelli e George Cukor a ‘Vincent e Theo’ di Robert Altman non dimenticando Akira Kurosawa che in ‘Sogni’, avendo come complice Martin Scorsese, entrava nelle opere del Maestro.

3dicembre 2019 di Donatella Nesti

Recentemente un sorprendente Loving Vincent il film in cui  ogni singolo fotogramma del film è stato realizzato a mano. Vincent Van Gogh, l’artista più noto al mondo, pioniere dell’arte contemporanea e personaggio tormentato, nel luglio 1890 si spara in un campo di grano nei pressi di Arles. Il giovane Armand Roulin, figlio del postino Roulin, unico amico di Van Gogh, non convinto del suicidio dell’artista, ripercorre le sue ultime settimane di vita incontrando le persone che, anche nei momenti più drammatici, gli sono state vicine.  Un film prodotto con tenace e minuzioso lavorìo in cui più di 100 artisti, con la tecnica del Painting Animation Work Station hanno animato un thriller interamente costituito da pittura che coinvolge totalmente lo spettatore. 

Van Gogh, tra il grano e il cielo, l’ultimo film realizzato da Nexo Digital e 3D con la regia di Giovanni Piscaglia e la sceneggiatura – ben narrata, intensa – di Matteo Moneta, racconta la figura dell’artista attraverso una piega originale, nuova e interessante. Piscaglia parte dal rapporto quasi maniacale di una illuminata collezionista, innamorata di Vincent e della sua opera postuma, appresa attraverso scritti, documentazioni e naturalmente la fruizione dei suoi dipinti. Helene Kröller Müller era una ricca signora con una grande sensibilità nei confronti dell’arte e, soprattutto, dei dipinti di Van Gogh. La collezione Kröller Müller conta oggi quasi 300 opere tra dipinti e disegni. Opere che oggi sono custodite all’interno del museo di Otterlo, in Olanda. 

22 anni dopo Basquiat, Julian Schnabel, regista di ‘Prima che sia notte’ e ‘Lo scafandro e la farfalla’, torna a parlarci della grande arte e lo fa portando al cinema gli ultimi, tormentati anni di Vincent Van Gogh. Il genio “maledetto” di Vincent Van Gogh raccontato attraverso gli occhi di un artista contemporaneo, con la collaborazione di Jean-Claude Carriere per la sceneggiatura. Ad interpretare l’irrequieto pittore olandese Willem Dafoe, premiato alla 75à Mostra d’arte Cinematografica di Venezia con la Coppa Volpi per il Miglior attore.

Dal burrascoso rapporto con Gauguin a quello viscerale con il fratello, fino al misterioso colpo di pistola che gli ha tolto la vita a soli 37 anni. Tra conflitti esterni e solitudine, un periodo frenetico e molto produttivo che ha portato alla creazione di capolavori che hanno fatto la storia dell’arte e che continuano ad incantare il mondo intero. Un film sulla creatività e sui sacrifici del genio olandese, sull’intensità febbrile della sua arte, sulla sua visione del mondo e della realtà. Può un film raccontare — seppure con il linguaggio che gli è proprio e alterando la dimensione temporale — l’intenso turbinio di sentimenti e di carica vitale che sono all’origine dell’atto del dipingere? È stata proprio questa apparente impossibilità ad attrarre Julian Schnabel e a fargli decidere di realizzare Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, il film con il quale ha cercato di cogliere aspetti spesso trascurati in altri film sugli artisti, offrendo una visione personale degli ultimi giorni di vita di Van Gogh, un artista diverso da tutti gli altri. Una storia che intende mostrare dall’interno come ci si senta nel momento della creazione di un’opera (quel momento magico, viscerale e violento che sfugge ad ogni definizione e cancella il tempo), la fatica fisica e la dedizione assoluta che caratterizzano la vita di un artista, in particolare quella di un pittore.

Il risultato è un’esperienza cinematografica caleidoscopica e sorprendente, che tratta tanto del ruolo dell’artista nel mondo, della sua vita e della sua impronta eterna, quanto della bellezza e della meraviglia che Van Gogh – inconsapevole del suo impatto sulle generazioni future – ci ha lasciato.

Dice Schnabel: “Il ritratto di Van Gogh che emerge dal film deriva direttamente dalle mie reazioni ai suoi quadri, non da quello che è stato scritto su di lui. Penso che sia bello dar vita ai personaggi facendo quello che fanno loro”.

“Cambia quello che sei, dice Dafoe. Non si tratta più di interpretare quella persona, ma di viverla.”.

Per Dafoe ‘vivere’ Van Gogh come uomo non ha significato solo imparare a maneggiare un pennello, ma anche tornare a innamorarsi del Sud della Francia e assorbirla attraverso tutti i sensi resi estremamente vigili.

“Dipingere all’aperto è stato davvero un buon appiglio per interpretare Vincent”, racconta Dafoe. “All’inizio della produzione Julian ed io abbiamo cominciato a fare delle passeggiate fermandoci a dipingere ovunque trovassimo un buon punto per farlo. All’inizio è servito solo a fare un po’ di pratica. Quando però abbiamo cominciato a girare, la sensazione rimasta dai giorni precedenti credo sia stata molto importante per il film”  

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