Venezuela. Maduro, un presidente

Con le elezioni dello scorso 15 ottobre dei governatori dei 23 Stati che compongono il Venezuela, il processo bolivariano segna un altro punto a suo favore, vincendo in 18 e perdendo solo in 5

31ottobre 2017 di Marco Consolo

Con una storica partecipazione al voto amministrativo di circa il 61% degli elettori, i candidati del Gran Polo Patriottico (PSUV, PCV, ed altri) si impongono con il 54%, contro il 45 % dell’opposizione della MUD. Dopo mesi di violenza organizzata dai settori più oltranzisti dell’opposizione (con il tragico saldo di più di 100 morti), e dopo l’elezione dell’Assemblea Nazionale Costituente che avevano riportato la calma nel Paese, il Venezuela dà al mondo un’altra lezione di democrazia e di difesa della propria sovranità.

La vittoria delle forze che appoggiano il processo bolivariano, nonostante i tanti problemi causati dalla campagna di ingerenza da parte di Washington, è una chiara dimostrazione della solidità delle idee chaviste, dell’appoggio popolare al processo di trasformazione e del fatto che nella sua stragrande maggioranza il popolo venezuelano vuole decidere il proprio destino in forma democratica e pacifica, in base alle regole istituzionali che si è dato.

Vengono così smentite le previsioni della destra internazionale, della ex-socialdemocrazia (compreso il PD italiano), del partito dei grandi media che decretavano la fine del “chavismo” ormai in minoranza tra la popolazione “stremata dalla mancanza di cibo e medicine” che si sarebbe ribellata alla “dittatura di Maduro”. La stessa strana dittatura che celebra in pace le elezioni numero 22 in  meno di 19 anni, tutte vinte dalle forze a favore del processo, con l’eccezione di 2. La prima, nel 2006, riguardava il referendum per l’approvazione della riforma costituzionale, mentre nel secondo caso si trattava dell’elezione dei deputati al parlamento del 2015. Ma sarebbe un errore credere che la vittoria rappresenta un ‘assegno in bianco’ per il governo.  Molti sono i problemi da risolvere: la ‘guerra economica esterna’, un’inflazione galoppante, la corruzione,  e la necessità di cambiare il modello di sviluppo ancora troppo dipendente dal petrolio. I nodi sono venuti al pettine da tempo e non sempre  la risposta è stata all’altezza.

A proposito dei grandi media, di fronte al risultato elettorale, la loro strategia è stata quella di minimizzare, di censurare del tutto o di pubblicare “fake news”, pure e semplici menzogne.

A casa nostra, “La Repubblica” si distingue per la sua sfacciataggine e cerca di vendere ‘lucciole per lanterne’, con la foto di dirigenti bolivariani spacciati per persone passate all’opposizione. In pochi casi si cerca di fare da megafono a settori totalmente minoritari dell’opposizione che gridano ai “brogli”, senza uno straccio di prova. Nonostante la vittoria schiacciante c’è da sottolineare però un dato preoccupante, dato che l’opposizione vince in diversi Stati al confine con la Colombia. Come si sa, in questi anni sono stati al centro delle manovre di destabilizzazione, di omicidi selettivi dei dirigenti sociali, dell’infiltrazione dello squadrismo paramilitare colombiano, della crescita di un’economia criminale a partire dal contrabbando e dal narcotraffico. Uno scenario che, lungi dal pacificarsi, rischia di complicarsi, soprattutto in presenza delle pressioni esterne di Washington. Infatti, dopo solo 15 giorni dalla nascita dell’Assemblea Nazionale Costituente (boicottata dall’opposizione), Trump ha minacciato militarmente Caracas con  un “intervento umanitario” e il tema Venezuela ha avuto una forte accelerazione nella politica estera statunitense. E nei giorni seguenti, da Washington sono arrivati segnali chiari che non si trattava di una boutade del Presidente, ma di una precisa direttiva per accelerare i preparativi per concretizzare questa opzione.

È chiaro il ruolo da protagonista del Pentagono per imporre al Venezuela ‘aiuti umanitari’, sia per le risorse di bilancio che il Congresso dedica espressamente a questa possibilità, sia per il suo carattere militare.

In questo quadro, c’è da sottolineare le prossime manovre militari del Comando Sud insieme a Brasile, Colombia e Perù nella località brasiliana di Tabatinga, alla convergenza delle frontiere amazzoniche dei tre Paesi. L’obiettivo specifico dell’operazione AMAZONLOG17 è appunto l’“aiuto umanitario” ad un Paese terzo. Da tempo il governo colombiano si prepara a ricevere un flusso massiccio di rifugiati venezuelani che l’intervento ‘umanitario’ potrebbe avere come risultato, sul modello di Libia e Siria. In perfetta sincronia, mentre il deputato del Partito Democratico, Eliot L. Engels, presentava in Commissione Esteri della Camera la legge extraterritoriale di ‘Assistenza Umanitaria e Difesa della governabilità democratica in Venezuela del 2017’, il Segretario Generale della Organizzazione degli Stati Americani (OEA), il burattino Luis Almagro, metteva in scena il riconoscimento dello ‘Stato parallelo’ venezuelano, cercando di dare legittimità alla pagliacciata del Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) in esilio. Non contento di ciò, ha fustigato l’opposizione venezuelana, rea di aver partecipato alle elezioni, avallando la ‘dittatura di Maduro’.

Ramos Allup, uno dei leader della stessa, gli ha risposto stizzito chiedendogli di smetterla di insegnare la democrazia a distanza.

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