7marzo 2018 di Beatrice Bardelli, Pisa
#NonUnaDiMeno #LottoMarzo. Anche a Pisa le donne si riverseranno nelle piazze e nelle strade per rivendicare i loro diritti calpestati in questa data storica e per aderire allo sciopero internazionale delle donne. L’appuntamento è alle 14 in piazza Vittorio Emanuele da dove partirà il corteo, dalle 16.30, per attraversare le strade del centro città.
“Basta con la violenza sulle donne.”
E’ questo il grido di allarme ma anche il grido determinato delle donne di tutto il mondo che si ritroveranno virtualmente in molte piazze dei cinque continenti domani, 8 marzo, per rivendicare il loro diritto a vivere in una società che rifiuta totalmente la violenza maschile sulle donne. Per questo, per la seconda volta, la giornata dell’8 marzo è diventata anche la data dello “sciopero femminista” come ha spiegato in conferenza stampa Giovanna Zitiello, della Casa della Donna, a nome di Non una di meno Pisa che raccoglie intorno a sé varie associazioni e collettivi attivi in città già da diversi anni. Uno sciopero femminista che coinvolgerà tanto il lavoro produttivo quanto quello riproduttivo e che servirà per ribadire ancora una volta il rifiuto della violenza maschile.
“Il caso di Antonietta Gargiulo – ha ricordato Zitiello – dimostra purtroppo come, ancora oggi, rimangano del tutto inascoltate le grida di aiuto delle donne che denunciano situazioni difficili con il loro partner. Antonietta aveva più volte denunciato la violenza di cui era stata vittima ma nessuno ha fatto niente per proteggere lei e le sue figlie. Spesso noi donne non siamo credute – ha commentato amaramente Zitiello – ma questa sarà la prima delle battaglie che vogliamo portare avanti in questo 8 marzo: le donne che denunciano la violenza maschile devono essere credute e sostenute nel loro percorso”.
A partire dalle 14 di domani, piazza Vittorio Emanuele si trasformerà in una ‘piazza tematica’. Per la prima volta tutta l’area, come hanno spiegato le promotrici, verrà suddivisa in 8 ‘stanze’ che disegneranno un percorso in cui verranno rappresentati tutti i temi che ‘Non una di meno’ ha costruito in un anno di incontri ed assemblee portate avanti a livello nazionale: dal femminicidio alla violenza economica e di genere fino alle discriminazioni sul mondo del lavoro. Poi, alle 16.30, partirà il corteo che attraverserà Corso Italia, ponte di Mezzo per raggiungere piazza dei Miracoli lungo via Oberdan e via Carducci. Da piazza dei Miracoli il corteo proseguirà lungo via Santa Maria fino a piazza dei Cavalieri dove si concluderà la manifestazione.
“Lungo il corteo – hanno ricordato le promotrici – si svolgeranno diverse azioni ‘comunicative’ nelle quali, ancora una volta, cercheremo di affrontare le tematiche e le difficoltà che dobbiamo affrontare ogni giorno noi donne”.
La Festa della donna, una storia lunga 110 anni.
Fu il 3 maggio 1908, durante la conferenza di Chicago del partito socialista, che la socialista statunitense Corinne Brown ribattezzò quella data come “Woman’s Day” perché per la prima volta si era affrontato il tema dello sfruttamento dei datori di lavoro nei confronti delle operaie, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto. Alla fine di quell’anno, il Partito socialista americano decise di dedicare l’ultima domenica del mese di febbraio del 1909 ad una manifestazione per il diritto di voto alle donne. Il 23 febbraio 1909 si svolse la prima “giornata della donna” negli Stati uniti. L’anno dopo, nell’agosto 2010, a Copenaghen, durante la seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste, si decise di istituire una giornata internazionale dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne. Ma non fu stabilita una data precisa per cui nei paesi in cui le donne ebbero la forza di manifestare, fu scelta una data diversa. Ad esempio, in alcuni paesi europei come Germania, Austria, Svizzera e Danimarca, la giornata della donna si tenne per la prima volta domenica 19 marzo 1911 per decisione del Segretariato internazionale delle donne socialiste. Secondo la testimonianza di Aleksandra Kollontaj, quella data fu scelta perché, in Germania, «il 19 marzo 1848, durante la rivoluzione, il re di Prussia dovette per la prima volta riconoscere la potenza di un popolo armato e cedere davanti alla minaccia di una rivolta proletaria. Tra le molte promesse che fece allora e che in seguito dimenticò, figurava il riconoscimento del diritto di voto alle donne». In Francia, invece, fu scelta la data del 18 marzo 1911, ricorrenza del quarantennale della Comune di Parigi così come a Vienna, dove alcune manifestanti portarono con sé delle bandiere rosse, simbolo della Comune, per commemorare i caduti di quell’insurrezione. In Svezia fu scelta la data del 1º maggio 1911 per unificare la manifestazione per i diritti delle donne con quella della Giornata del lavoro per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. La scelta dell’8 marzo fu fatta dopo la fine della prima guerra mondiale, in Russia. Qui, l’8 marzo 1917, a San Pietroburgo, le donne avevano manifestato in massa per chiedere pace e la fine della guerra. Per ricordare quella grande manifestazione di donne, nel 1921, a Mosca, durante la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, si stabilì che l’8 marzo diventasse la Giornata internazionale dell’operaia. Ma quella data non fu recepita dalle donne di tutto il mondo tanto che, in Italia, la prima giornata della donna si svolse sì in marzo, del 1922, ma il 12 e non l’8.
L’UDI, Unione Donne Italiane.
Nel settembre 1944, in una Roma città aperta e liberata dalle truppe nazifasciste, fu istituita l’UDI, Unione Donne Italiane, che decise di celebrare la Festa della donna l8 marzo del 1945 nelle zone liberate dell’Italia. Domani, 8 marzo, l’UDI scenderà in piazza nella giornata dello sciopero internazionale delle donne con un appello: (http://www.ansa.it/sito/notizie/speciali/2018/03/07/8-marzo-udi-sciopero-globale-e-ancora-unaspettativa-serve-visibilita_dea971b4-7c18-47f3-adc6-5ac1ae37f359.html) Le donne si fermino l’8 marzo. Si fermino “nei luoghi pubblici e privati, nelle relazioni sociali e in quelle più intime, nei luoghi della politica e in quelli del mercato”. Lo facciano nei tempi e nei modi tali da farle uscire dall’invisibilità quotidiana. Con il sostegno allo sciopero globale delle donne, che è comunque ancora “un’aspettativa”, e con un forte richiamo ad azioni più incisive contro la mattanza nel nostro paese della violenza di genere, l’Udi (Unione donne in Italia) si appresta a celebrare il prossimo 8 marzo. E ha scelto uno slogan sollecitato dalla cronaca del #meetoo: “Mai stare zitte! Mai state zitte! Contro la violenza maschile, insieme”.
#NonUnaDiMeno #LottoMarzo: 8 punti per l’8 marzo. È questa la piattaforma politica (https://www.zeroviolenza.it/eventi?data=2017-3-8) formulata dalle 2000 persone riunite in assemblea nazionale a Bologna, il 4 e 5 febbraio scorsi, che hanno proseguito il lavoro sul piano femminista antiviolenza ed hanno organizzato lo sciopero delle donne dell’8 marzo che coinvolge diversi paesi nel mondo. Gli otto punti esprimono il rifiuto della violenza di genere in tutte le sue forme: oppressione, sfruttamento, sessismo, razzismo, omo e transfobia. Scioperiamo per affermare la nostra forza.
Scioperiamo perché:
- La risposta alla violenza è l’autonomia delle donne. Scioperiamo contro la trasformazione dei centri antiviolenza in servizi assistenziali. I centri sono e devono rimanere spazi laici ed autonomi di donne, luoghi femministi che attivano processi di trasformazione culturale per modificare le dinamiche strutturali da cui nascono la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere. Rifiutiamo il cosiddetto Codice Rosa nella sua applicazione istituzionale e ogni intervento di tipo repressivo ed emergenziale. Pretendiamo che nell’elaborazione di ogni iniziativa di contrasto alla violenza vengano coinvolti attivamente i centri antiviolenza.
- Senza effettività dei diritti non c’è giustizia né libertà per le donne. Scioperiamo perché vogliamo la piena applicazione della Convenzione di Istanbul contro ogni forma di violenza maschile sulle donne, da quella economica alle molestie sessuali sui luoghi di lavoro a quella perpetrata sul web e sui social media. Pretendiamo misure di protezione immediate per le donne che denunciano, l’eliminazione della valutazione psico-diagnostica sulle donne, l’esclusione dell’affidamento condiviso nei casi di violenza familiare.
- Sui nostri corpi, sulla nostra salute e sul nostro piacere decidiamo noi. Scioperiamo perché vogliamo l’aborto libero, sicuro e gratuito, l’abolizione dell’obiezione di coscienza negli ospedali, nelle farmacie e nei consultori, l’eliminazione delle sanzioni per le donne che ricorrono all’aborto clandestino, il pieno accesso alla Ru486, l’eliminazione della violenza ostretrica e del controllo medico sulla maternità. Scioperiamo per sovvertire le norme di genere che ci opprimono, per avere più autoformazione su contraccezione e prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, per ri-politicizzare i consultori, per aprirli alle esigenze e ai desideri delle donne, delle lesbiche, dei gay, delle persone trans e intersex, indipendentemente dalla condizione economica e fisica, dall’età e dal passaporto.
- Se le nostre vite non valgono, scioperiamo! Scioperiamo per rivendicare un reddito di autodeterminazione, per uscire da relazioni violente, per resistere al ricatto della precarietà, perché non accettiamo che ogni momento della nostra vita sia messo al lavoro; un salario minimo europeo, perché non accettiamo di essere penalizzate per il fatto di essere donne, né che un’altra donna, spesso migrante, sia messa al lavoro nelle case e nella cura in cambio di un salario da fame; un welfare per tutte e tutti organizzato a partire dai bisogni delle donne, che ci liberi dall’obbligo di lavorare sempre di più e più intensamente per riprodurre le nostre vite.
- Vogliamo essere libere di muoverci e di restare. Contro ogni frontiera: permesso, asilo, diritti, cittadinanza e ius soli. Scioperiamo contro la violenza delle frontiere, dei Centri di detenzione, delle deportazioni che ostacolano la libertà delle migranti, contro il razzismo istituzionale che sostiene la divisione sessuale del lavoro. Sosteniamo le lotte delle migranti e di tutte le soggettività lgbtqi contro la gestione e il sistema securitario dell’accoglienza! Vogliamo un permesso di soggiorno incondizionato, svincolato da lavoro, studio e famiglia, l’asilo per tutte le migranti che hanno subito violenza, la cittadinanza per chiunque nasce o cresce in questo paese e per tutte le migranti e i migranti che ci vivono e lavorano da anni.
- Vogliamo distruggere la cultura della violenza attraverso la formazione. Scioperiamo affinché l’educazione alle differenze sia praticata dall’asilo nido all’università, per rendere la scuola pubblica un nodo cruciale per prevenire e contrastare la violenza maschile contro le donne e tutte le forme di violenza di genere. Non ci interessa una generica promozione delle pari opportunità, ma coltivare un sapere critico verso le relazioni di potere fra i generi e verso i modelli stereotipati di femminilità e maschilità. Scioperiamo contro il sistema educativo della “Buona Scuola” (legge 107) che distrugge la possibilità che la scuola sia un laboratorio di cittadinanza capace di educare persone libere, felici e autodeterminate.
- Vogliamo fare spazio ai femminismi. Scioperiamo perché la violenza ed il sessismo sono elementi strutturali della società che non risparmiano neanche i nostri spazi e collettività. Scioperiamo per costruire spazi politici e fisici transfemministi e antisessisti nei territori, in cui praticare resistenza e autogestione, spazi liberi dalle gerarchie di potere, dalla divisione sessuata del lavoro, dalle molestie. Costruiamo una cultura del consenso, in cui la gestione degli episodi di sessismo non sia responsabilità solo di alcune ma di tutt*, sperimentiamo modalità transfemministe di socialità, cura e relazione. Scioperiamo perché il femminismo non sia più un tema specifico, ma diventi una lettura complessiva dell’esistente.
- Rifiutiamo i linguaggi sessisti e misogini. Scioperiamo contro l’immaginario mediatico misogino, sessista, razzista, che discrimina lesbiche, gay e trans. Rovesciamo la rappresentazione delle donne che subiscono violenza come vittime compiacenti e passive e la rappresentazione dei nostri corpi come oggetti. Agiamo con ogni media e in ogni media per comunicare le nostre parole, i nostri volti, i nostri corpi ribelli, non stereotipati e ricchi di inauditi desideri.