… e la tristezza infinita di Ago
Roma-Liverpool
2agosto 2015 di Lamberto Giannini
Roma è bloccata, non è una partita, è la storia di una città e di una squadra. Quella giallorossa è storicamente una delle squadre più amate dalla propria curva. Una squadra fortissima quella guidata da Niels Liedholm, il signore svedese ottimo somelier e grande allenatore, in grado di gestire le emozioni e insegnare a gestirle ad un ambiente che da un mese attende l’evento contando i minuti senza che si riesca a parlare d’altro. I tifosi laziali sono silenti, ma gufano, così come gli juventini.
Falcao, l’ottavo Re di Roma, è la grande speranza del popolo giallorosso, guida la squadra con maestria, tutti i tifosi si aggrappano a lui, anche se ci sono altri giocatori importanti nella compagine di Liedholm, come Pruzzo, Conti, Graziani, ma sembrava comunque una situazione impossibile: il Liverpool in quel momento era la squadra più forte del mondo e negli ultimi otto anni aveva vinto tre volte la coppa. Il nuovo allenatore Fagan non aveva fatto sentire l’addio di Bob Pasley e la Roma, oltre a dei campioni, ha anche giocatori di terza fascia del calcio italiano, come Michele Nappi, ed in panchina Chierico e Strukelj. Ma tutto l’ambiente si aggrappa al divino Falcao, l’uomo che ai mondiali del 1982 con una finta spiazzò un intero stadio prima di freddare Zoff al Sarria di Barcellona e che ha trascinato nel 1983 la Roma ad uno scudetto strappato all’odiata Juventus dei 6 campioni del mondo più Platini e Boniek.
La partita parte con un ritmo blando e la Roma, nonostante un Falcao sottotono, riesce, grazie anche uno stratosferico Bruno Conti, a tener testa. Ma al 15esimo minuto avviene quello che i tifosi romanisti temevano, il goal del Liverpool, cross di Jhonston e uscita di Tancredi che, non protetto dai suoi, subisce una semicarica, solitamente fischiata a livello nazionale ma non internazionale; fortunatamente, però, la palla finisce tra i piedi di Dario Bonetti (considerato in gran forma) che in un raptus di follia la scarica con violenza sulla testa di Tancredi. La palla rimbalza così sui piedi del difensore Philip Neal che insacca comodamente.
Lo stadio è gelato, privo di respiro, gli analisti hanno ribadito tutto il giorno che statisticamente chi va in vantaggio vince perché è difficilissimo recuperare in una finale.
La Roma sbanda, Bonetti è in stato confusionale e compie altri errori banali, la Roma prova a fare quello che negli ultimi anni è riuscito meglio, cross di Conti e testa di Pruzzo ed a due minuti dalla fine lo schema paga, grazie anche ad una torsione magica del re di crociefieschi. Lo stadio è in delirio, è come tornare a respirare, a vivere, la disperazione si trasforma in un attimo in entusiasmo, il delirio in follia.
Nella ripresa la Roma attacca, anche se appare stanca, ma Conti non è arginabile, ed il capitano Di Bartolomei tiene alta la squadra, grazie a piedi meravigliosi e testa fina. Ma latita Falcao: dopo il fallimento del Brasile al mondiale sembra l’ultima chance per il fuoriclasse considerato il più europeo dei brasiliani e questa è la sua ultima grande occasione, invece gioca una partita normale. Dopo venti minuti Liedholm, amato dalla folla romanista, lascia perplesso lo stadio, decidendo di far entrare il romano Chierico al posto del Bomber Pruzzo: questa scelta appare una dichiarazione di paura. In realtà i giallorossi attaccano ma non riescono a pungere e questo aumenta i rimpianti per una sostituzione probabilmente incauta; il rosso Chierico si da un gran da fare ma non ha il movimento del centravanti.
Si arriva ai supplementari ed anche qui la Roma sembra più pericolosa ma Grobelar, portiere acrobata, è in vena di miracoli. A cinque minuti dalla fine si stira Toninho Cerezo, uno che probabilmente avrebbe dovuto calciare il rigore, ed entra il giovane Strukley considerato senza controprova un ottimo rigorista.
Il triplice fischio è accolto dal pubblico in silenzio, un silenzio che fa rumore, il silenzio di chi sente montare l’ansia visto che per la prima volta la finale si decide ai calci di rigore; il livello emotivo è colmo, parte il coro Roma Roma, giocare in casa dovrebbe essere un vantaggio, ma basta vedere i volti in curva per capire il tasso di sofferenza: chi si tiene il viso tra le mani, chi sbuffa, chi abbraccia il vicino , chi piange, ed anche in campo i romanisti sembrano congelati dalla tensione mentre gli inglesi appaiono spavaldi. Grobelar irrita il pubblico con le sue solite clownerie ma su un giocatore si concentrano le telecamere e gli sguardi dei tifosi, Paulo Roberto Falcao. Il brasiliano freddo è li al centro del campo con sguardo fermo e rassicurante: in realtà il pubblico ancora non può sapere che in quei pochi secondi è già avvenuto il gran rifiuto, quello che molti tifosi hanno letto come alto tradimento. Falcao ha già detto all’allenatore che non tirerà il rigore, e questo genera uno sbandamento, probabilmente fatale nel gruppo: il leader ha paura e scarica la responsabilità, anche se Falcao spiegherà in seguito che il suo è invece stato un gesto di responsabilità, la consapevolezza di saper fare quasi tutto con la sfera ma non tirare i rigori, e la volontà di lasciare spazio a chi è più bravo di lui, ma una parte della tifoseria romanista non ha ancora perdonato.
Viene scelta come porta quella davanti alla sud, il centro del tifo giallorosso: questo dovrebbe aiutare.
Il primo a tirare per il Liverpool è Nicol, che sbaglia, e la palla nel tripudio dell’Olimpico viene presa dal capitano Agostino Di Bartolomei, l’eroe della rimonta in semifinale contro gli scozzesi del Dundee, nato a Roma e da una vita nella Roma, romanista da sempre, che guarda la curva con il suo solito sguardo triste. La società gli ha comunicato che a fine stagione lo venderà al Milan: ci sarà ancora la coppa Italia da giocare, ma quello è il vero epilogo, l’ultimo atto di un amore viscerale: la curva lo ama oltre ogni cosa e lui vorrebbe dire addio regalando al suo pubblico la gioia sublime.
Sono le 22.40, Agostino in testa ha tante cose e nel percorrere quei 40 metri vive l’addio eroico verso l’amore della sua vita. Nella finale di coppa Italia contro il Verona avrà cori per 90 minuti, con uno striscione che titola “Ti hanno tolto la maglia non l’amore della curva”, amore per Agostino necessario; così poggia la palla, resetta i pensieri, calcia e gonfia la porta e sorride come non mai. Ore 22.40: se finisse così la Roma sarebbe campione; Ago torna al centro del campo per vivere le ultime emozioni, è il 30 maggio; dieci anni dopo, proprio il 30 maggio del 1994, Ago si toglierà la vita. Ha cercato nel calcio e nella vita una profondità totale e non è riuscito a trovarla: molti si sono chiesti cosa sarebbe stato se Ago fosse rimasto nella Roma, molti si sono chiesti cosa sarebbe stato se quella coppa invece di sognarla l’avesse alzata per salutare l’amore di un popolo, Gianni Mura dirà “i veri capitani possono morire o anche scegliere di morire, ma dimenticarli è impossibile” e la curva Sud non ha dimenticato il bravo ragazzo che si pettinava con la divisa e non diceva mai una parola fuori posto, come mai era fuori posto un suo passaggio. La potenza del tiro era l’ossimoro perfetto al suo ordine in campo, la sua morte è stata l’ossimoro perfetto al suo silenzio, in vita, un rumoroso silenzio.
Si torna ai rigori, tocca a Neal, che ha segnato durante i 90 minuti e non sbaglia, ma la Roma, grazie a Di Bartolomei, è in vantaggio: tocca ad un altro eroe della curva, Bruno Conti, campione del mondo, anche lui romano (di Nettuno) e romanista da sempre: i soliti 40 metri nei quali Bruno avrà ripensato alla delusione del padre quando la Roma (il sogno), lo aveva ceduto in prestito al Genoa ed ora è lì per regalare al suo popolo la gioia. L’emozione è tanta, Grobbelaar si rende conto della situazione e lo provoca, Conti prende una rincorsa esagerata e tira in modo potente, tutti gli occhi del mondo sono su quella palla imprendibile per il portiere ma troppo alta, il Liverpool torna in parità, Conti è disperato, ma la speranza è ancora forte. Tocca al capitano dei Reds Souness, che insacca, la palla scotta sui piedi di un altro romano (Sermoneta) – romanista, Ubaldo Righetti un difensore roccioso, poco abituato ai rigori. Il pubblico è in apnea, un errore ora sarebbe la fine e tutti si chiedono quando tirerà Falcao. Ubaldo trasforma in modo impeccabile, è il delirio, siamo ancora in parità; tocca al bomber del Liverpool, il gallese Rush, che insacca e poi si inginocchia per stemperare la tensione.
La palla viene presa da Ciccio Graziani, campione del mondo come Conti, romanista come Conti, nato alle porte di Roma come Conti, troppe coincidenze avrà pensato lo scaramantico Liedholm, ma ormai la lista è data, e Graziani, come Conti, viene provocato da Grobbelaar e, nonostante il bacio al pallone ed il segno della croce, calcia alto come Conti. Per la prima volta nella sequenza dei rigori gli inglesi sono in vantaggio: se Kennedy segna la coppa sarà per la quarta volta del Liverpool, e Kennedy segna. I tifosi sono pietrificati, non capiscono il tradimento di Falcao, il sorriso è scomparso dalla bocca di Di Bartolomei, che dovrà guardare il capitano del Liverpool fare nella sua città quello che sognava di fare da bambino e che alle 22.40 era realtà, alzare la coppa, perché nella finale di Coppa dei Campioni non esiste un domani, e Agostino è consapevole che il suo tempo con la maglia giallorossa è senza un domani, troppo doloroso lasciarla così, a poco vale sapere di essere stato tra i migliori. Per una squadra come la Roma questa è una sconfitta enorme perché, non essendo tra le grandi di Europa, difficilmente potrà rivivere una finale e per ora non si è più avvicinata al sublime traguardo.